Il Leithia melitensis era un ghiro gigante che visse durante il Pleistocene nelle isole del Mar Mediterraneo, principalmente in Sicilia e Malta. Questo roditore apparteneva alla famiglia Gliridae, che include i moderni ghiri. L. melitensis era significativamente più grande dei suoi parenti odierni. Mentre i ghiri attuali misurano circa 10-15 cm di lunghezza del corpo, esclusa la coda, L. melitensis poteva raggiungere lunghezze molto maggiori, con un corpo più massiccio e robusto. Per fare un paragone con l’odierno topo quercino (Eliomys quercinus), il cranio di L. melitensis era lungo il doppio ovvero circa 7 centimetri. Le sue zampe erano adattate per arrampicarsi e la sua coda lunga e folta lo aiutava a bilanciarsi tra i rami degli alberi.
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L’ambiente del Leithia melitensis
Il L. melitensis viveva in un ambiente insulare caratterizzato da foreste e boscaglie dense, tipiche delle isole del Mediterraneo. La vegetazione rigogliosa forniva rifugio e abbondanti risorse alimentari. La dieta di L. melitensis era onnivora ma principalmente erbivora che comprendeva frutta, noci, foglie e piccoli invertebrati. I denti della mascella inferiore rinvenuti, presentano un’usura che indica difatti come questo antico ghiro si sia adattato più alla masticazione che al rosicchiamento come avviene invece per altri roditori. Come i ghiri moderni, era probabilmente un abile arrampicatore, sfruttando gli alberi sia per cercare cibo che per proteggersi dai predatori.
Periodo in cui visse
L. melitensis era endemico delle isole del Mediterraneo centrale, con i ritrovamenti fossili concentrati in Sicilia e Malta. Visse durante il Pleistocene, un’epoca geologica che iniziò circa 2,58 milioni di anni fa e terminò circa 11.700 anni fa. Alcuni suoi resti sono presenti nel complesso di monte Pellegrino, luogo di notevole interesse per questa e tante altre cose, a testimonianza della sua presenza per l’appunto nel basso Pleistocene. Questo periodo geologico fu caratterizzato da glaciazioni e cambiamenti climatici significativi che influenzarono la distribuzione e l’adattamento delle specie.
L. melitensis si estinse poi alla fine del Pleistocene. Le cause precise della sua estinzione non sono completamente chiare, ma si pensa che i cambiamenti climatici e ambientali, insieme alla possibile competizione con altre specie e l’arrivo degli esseri umani, abbiano giocato un ruolo significativo. Il sollevamento della Sicilia e della Calabria, con anche l’abbassamento del livello del mare, avrebbero creato un corridoio di passaggio grazie al quale diverse specie migrarono sull’isola. La nuova competizione avrebbe quindi sancito la parola fine all’esistenza di questa specie che di lì a poco scomparve.
cosa rimane oggi
I primi resti fossili di Leithia melitensis furono scoperti nel XIX secolo, precisamente nel 1863 da Andrew Leith Adams, anche se in un primo momento credeva si trattasse di un’altra specie. Ci vollero 30 anni prima che il genere fosse riconosciuto e venne chiamato Leithia proprio in onore del suo scopritore. Questi fossili hanno fornito preziose informazioni sulla morfologia e l’ecologia di questo ghiro gigante. Le scoperte principali includono ossa craniche, denti e parti dello scheletro postcranico, che hanno permesso ai paleontologi di ricostruire l’aspetto e le abitudini di vita di questa specie.
Oggi, i resti fossili di L. melitensis possono essere visti in vari musei di storia naturale. In Italia, uno dei principali luoghi dove è possibile ammirare questi fossili è il Museo Geologico “G.G. Gemmellaro” dell’Università di Palermo. Questo museo ospita una ricca collezione di fossili provenienti da tutta la Sicilia, inclusi quelli di Leithia melitensis, offrendo uno sguardo affascinante sulla vita preistorica dell’isola.
L. melitensis rappresenta un esempio affascinante di gigantismo insulare, un fenomeno evolutivo che si verifica quando le specie animali sviluppano dimensioni significativamente maggiori rispetto ai loro parenti continentali. La scoperta e lo studio dei fossili di questo ghiro gigante hanno arricchito la nostra comprensione della biodiversità preistorica della Sicilia e delle dinamiche ecologiche delle isole del Mediterraneo durante il Pleistocene. I suoi resti continuano ad essere un importante oggetto di studio per paleontologi e appassionati di storia naturale.